(Adnkronos) – "Spira un forte vento di destra nelle nostre contrade, quelle che una volta si sarebbero dette occidentali. Una destra intesa come domanda di sicurezza, illusione di potenza, pretesa di forza, velleità di blindatura dei nostri confini (e magari anche delle nostre certezze). Un tentativo di sentirsi ancora dalla parte vincente ora che avanza nel mondo la sfida di un sud globale che non riconosce più né il nostro primato né le nostre ragioni. Si potrebbe fare il conto dei casi e dei paesi mettendo in fila le storie degli ultimi mesi e quelle che magari si profilano all’orizzonte. Ma non è questo il punto. Può capitare che la destra conquisti la Casa Bianca con Trump di qui a qualche giorno. E può capitare anche che le forze xenofobe che abbiamo visto all’opera nelle ultime sfide europee guadagnino ulteriore terreno. Eppure non sarà il conto delle bandiere che sventolano sui pennoni delle nostre capitali a darci la misura del problema. Che non è più, ormai, il derby tra destra e sinistra. Ma è la natura dei nostri stati d’animo, delle nostre paure, delle nostre prospettive. E anche, ovviamente, la natura della destra. Abbiamo conosciuto, dalle nostre parti, destre capaci di infondere fiducia. Reagan e la Thatcher furono due leader intransigenti, volitivi, vissuti all’epoca come troppo assertivi eppure capaci, tutti e due, di trovare al dunque una misura più equilibrata. Erano espressione di una vitalità fiduciosa, alimentata dall’ambizione di lasciare nel mondo l’impronta di un’occidente che di lì a poco avrebbe provocato la caduta del muro di Berlino e l’implosione del sistema sovietico. Non mancava loro lo spirito della controversia. Ma erano controversie che poggiavano sull’ottimismo. E l’ottimismo le guidava verso esiti costruttivi. Ora invece la radicalizzazione a destra poggia più che altro sulle paure. E immagina di dissolvere queste paure nell’illusione che un proclama stentoreo, una faccia feroce, un grido bellicoso possano magicamente riequilibrare la bilancia delle forze. Rischia così di affermarsi, da quella parte, un modello politico che unisce senza rendersene ben conto parole d’ordine fin troppo bellicose e comportamenti a cui la debolezza delle forze impone poi un limite inesorabile. Quello che sto cercando di dire -da uomo di centro- è che esiste destra e destra. E per quanto quella parte sembra stia prendendo il sopravvento, resta da capire quali delle sue figure e delle sue maschere siano destinate a prevalere. Tema che agita le coscienze in Francia e in Germania, dove i due establishment di Stato e di governo stanno pericolosamente traballando. E che dovrebbe aprire un confronto anche da noi tra le forze di maggioranza che si contendono l’egemonia con argomenti non sempre così reciprocamente amichevoli. E’ questo il bivio di fronte a cui si troverà la Meloni. Non tanto la scelta tra Salvini e Tajani, poiché nessuno dei due può insidiarne il primato. Ma la scelta ben più importante tra una destra che si fa sospingere dai venti di tempesta che spirano in tanta parte del mondo e una destra invece più pensosa, più riflessiva, più consapevole del fatto che il disordine epocale nel quale rischiamo di trovarci non si risolve con un eccesso di baldanza. E tanto più di una baldanza a cui non corrisponde più la forza che si pensava di avere alle spalle. E’ l’Occidente, ormai, il nostro grande rovello politico. Il suo isolamento, la sua perdita di influenza, il suo smarrimento nel trambusto di tutte le crisi che stiamo attraversando. Sono in molti, a destra, che si illudono di trovare soluzioni semplici a problemi così complicati. Se invece qualcuno, anche da quelle parti, proverà prima o poi a misurarsi sulla complicazione in cui ci troviamo avrà fatto un buon servizio. Anche a sé stesso". (di Marco Follini) —politicawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
Usa, Follini: “Contro perdita influenza Occidente serve destra riflessiva”
(Adnkronos) – "Spira un forte vento di destra nelle nostre contrade, quelle che una volta si sarebbero dette occidentali. Una destra intesa come domanda di sicurezza, illusione di potenza, pretesa di forza, velleità di blindatura dei nostri confini (e magari anche delle nostre certezze). Un tentativo di sentirsi ancora dalla parte vincente ora che avanza nel mondo la sfida di un sud globale che non riconosce più né il nostro primato né le nostre ragioni. Si potrebbe fare il conto dei casi e dei paesi mettendo in fila le storie degli ultimi mesi e quelle che magari si profilano all’orizzonte. Ma non è questo il punto. Può capitare che la destra conquisti la Casa Bianca con Trump di qui a qualche giorno. E può capitare anche che le forze xenofobe che abbiamo visto all’opera nelle ultime sfide europee guadagnino ulteriore terreno. Eppure non sarà il conto delle bandiere che sventolano sui pennoni delle nostre capitali a darci la misura del problema. Che non è più, ormai, il derby tra destra e sinistra. Ma è la natura dei nostri stati d’animo, delle nostre paure, delle nostre prospettive. E anche, ovviamente, la natura della destra. Abbiamo conosciuto, dalle nostre parti, destre capaci di infondere fiducia. Reagan e la Thatcher furono due leader intransigenti, volitivi, vissuti all’epoca come troppo assertivi eppure capaci, tutti e due, di trovare al dunque una misura più equilibrata. Erano espressione di una vitalità fiduciosa, alimentata dall’ambizione di lasciare nel mondo l’impronta di un’occidente che di lì a poco avrebbe provocato la caduta del muro di Berlino e l’implosione del sistema sovietico. Non mancava loro lo spirito della controversia. Ma erano controversie che poggiavano sull’ottimismo. E l’ottimismo le guidava verso esiti costruttivi. Ora invece la radicalizzazione a destra poggia più che altro sulle paure. E immagina di dissolvere queste paure nell’illusione che un proclama stentoreo, una faccia feroce, un grido bellicoso possano magicamente riequilibrare la bilancia delle forze. Rischia così di affermarsi, da quella parte, un modello politico che unisce senza rendersene ben conto parole d’ordine fin troppo bellicose e comportamenti a cui la debolezza delle forze impone poi un limite inesorabile. Quello che sto cercando di dire -da uomo di centro- è che esiste destra e destra. E per quanto quella parte sembra stia prendendo il sopravvento, resta da capire quali delle sue figure e delle sue maschere siano destinate a prevalere. Tema che agita le coscienze in Francia e in Germania, dove i due establishment di Stato e di governo stanno pericolosamente traballando. E che dovrebbe aprire un confronto anche da noi tra le forze di maggioranza che si contendono l’egemonia con argomenti non sempre così reciprocamente amichevoli. E’ questo il bivio di fronte a cui si troverà la Meloni. Non tanto la scelta tra Salvini e Tajani, poiché nessuno dei due può insidiarne il primato. Ma la scelta ben più importante tra una destra che si fa sospingere dai venti di tempesta che spirano in tanta parte del mondo e una destra invece più pensosa, più riflessiva, più consapevole del fatto che il disordine epocale nel quale rischiamo di trovarci non si risolve con un eccesso di baldanza. E tanto più di una baldanza a cui non corrisponde più la forza che si pensava di avere alle spalle. E’ l’Occidente, ormai, il nostro grande rovello politico. Il suo isolamento, la sua perdita di influenza, il suo smarrimento nel trambusto di tutte le crisi che stiamo attraversando. Sono in molti, a destra, che si illudono di trovare soluzioni semplici a problemi così complicati. Se invece qualcuno, anche da quelle parti, proverà prima o poi a misurarsi sulla complicazione in cui ci troviamo avrà fatto un buon servizio. Anche a sé stesso". (di Marco Follini) —politicawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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